A volte le nostre emozioni possono prendere il sopravvento. Possono “scatenare” un impulso a mangiare, anche non in presenza di una vera e propria sensazione di fame.
Capita molto spesso di sentir dire:
“ho mangiato perché avevo una stretta allo stomaco”
“mangio perché sono triste”
“ho la fame nervosa”
“devo mangiare altrimenti mi arrabbio”
Cosa hanno in comune tutte queste frasi?
E’ scientificamente provato che molti alimenti, una volta ingeriti, producono endorfine, i cosiddetti “ormoni della felicità”.
Tali cibi ci permettono, dunque, di provare emozioni positive nell’immediato, confortandoci in svariate situazioni che sentiamo non gratificanti.
Fame corporea
La fame corporea è un meccanismo naturale, che si innesca quando l’organismo ha bisogno di nutrienti. Cibarsi è una delle azioni più antiche svolte dall’uomo, gli serve per sopravvivere.
Come funziona:
Trascorse alcune ore dall’ultimo pasto, le calorie ingerite sono state utilizzate come carburante per sostenere la normale attività dell’individuo.
Questo provoca il calo di alcuni ormoni e il corrispondente aumento altri, la cui funzione è proprio stimolare l’appetito, necessario per rifornire il corpo di nuova energia.
Questo ciclo di fame -nutrimento -sazietà si ripeterà secondo regole dettate dal metabolismo dell’individuo, dalla sua attività fisica e dai cicli di sonno-veglia.
Fame corporea vs fame emotiva
A questa funzione fisiologica della fame e dell’appetito se ne affianca un’altra non legata alla sola sopravvivenza.
Fin dalla nascita, il cibo viene collegato ad emozioni positive. Il neonato che si attacca al seno della madre, ne percepire il calore corporeo, il profumo e con essa condivide un intenso stato di serenità.
In tutte le fasi della vita, il sentirsi con “la pancia piena” dà una sensazione di generale benessere. Non va trascurato neanche il ruolo del mangiare nella socializzazione e nella condivisione con gli altri di eventi gioiosi e celebrativi.
La fame emotiva
Tutt’altra funzione è quella che sottende la fame emotiva che si prova in associazione con emozioni di rabbia, tristezza, solitudine, fatica e tensione.
In questo caso l’atto del mangiare non è legato alla necessità fisiologica del nutrirsi, ma piuttosto si associa ad uno stato emotivo alterato.
Insomma, si ricorre al cibo non perché si ha veramente fame, ma per “sfamare” una emozione.
Niente di preoccupante se, a volte, assumere cibo viene considerato un modo legittimo per concedersi una pausa gratificante dal lavoro o nello studio.
Ricorre all’”Emotional eating”, cioè nel mangiare solo per soddisfare l’emotività, o in relazione a stati emotivi intensi può essere sintomo di una relazione conflittuale con il cibo.
Nei casi più gravi, tale disagio può sfociare in un disturbo della nutrizione e dell’alimentazione.
Il circolo vizioso dell’emotional eating.
Mangiare sembra, a prima vista, una soluzione smart per essere felici. È accessibile, disponibile, si può fare in qualsiasi situazione, ed è, in genere, socialmente accettato.
Spesso la fame emotiva conduce ad un aumento del peso corporeo, rischioso per la salute e provoca sentimenti di ansia, vergogna e senso di colpa che a loro volta generano mal contento nella persona.
Queste emozioni sgradevoli ,che si innescano e interagiscono tra loro, rafforzano lo stimolo della fame emotiva, attivando così un meccanismo ripetitivo che pone al centro il cibo che non è più una semplice fonte di nutrimento.
Il soggetto ,che si sente emotivamente frustrato, cerca consolazione nel cibo, ma l’incremento di peso e il conseguente malessere lo costringono a cercare ulteriore gratificazione, per alleviare il disagio. La via apparentemente più facile sarà introdurre altro cibo innescando però un circolo vizioso.
In conclusione
A tutt’oggi la maggior parte della popolazione non considera i rischi legati alla fame emotiva, non riconoscendola come un possibile sintomo di un disturbo dell’alimentazione. Questa convinzione porta a sottostimare le conseguenze negative della fame emotiva.
Un approccio più sereno e naturale verso il cibo prevede una maggiore consapevolezza delle proprie emozioni e dei propri stati d’animo. Si può aiutare la persona ad apprendere la differenza tra la fame fisiologica e quella emotiva, ad esempio con l’utilizzo di semplici strumenti quali il diario alimentare e di tecniche di mindfulness.
Quando ci si rende conto di essere in presenza di una difficoltà importante nel gestire le proprie emozioni in relazione al cibo diventa necessario rivolgersi ad uno specialista, che potrà intervenire con la terapia più adeguata.