In Italia l’ISPESL (2001) definisce il mobbing “una forma di violenza psicologica intenzionale, sistematica e duratura, perpetrata in ambiente di lavoro, volta alla estromissione fisica o morale del soggetto dal processo lavorativo o dall’impresa”.
La vittima di questa serie di atti viene, a vario titolo, progressivamente o immediatamente emarginata, calunniata, criticata, affidata a compiti dequalificanti o umilianti. L’obiettivo di queste azioni negative è sempre provocare una esperienza di limitazione e dolore, psicologico o emotivo, inducendola alle dimissioni volontarie o provocandone un motivato licenziamento.
In seguito a questi attacchi la vittima progressivamente precipita verso una condizione di estremo disagio che, cronicizzandosi, si ripercuote negativamente sul suo equilibrio psico-fisico, sulla qualità del suo sistema di relazioni sia privato che lavorativo.
Come si attuano i comportamenti di mobbing?
Il mobbing può essere attuato in due modalità:
- orizzontale, fra colleghi di pari grado, responsabilità e mansioni;
- verticale, fra colleghi di grado diverso con rispettive differenti responsabilità e mansioni.
Può essere attuato dall’alto al basso e viceversa. Nel primo caso abbiamo una forma di mobbing che viene identificata come bossing ad esempio quando è l’azienda stessa a mettere in atto quelle strategie persecutorie ed umilianti tese a costringere alcuni dipendenti a dimettersi o a richiedere altro incarico. Nel secondo caso, dal basso verso l’alto, abbiamo azioni coalizzate tese ad inficiare il progetto e gli obiettivi stabiliti da una superiore catena di comando, in questo caso è possibile usare l’espressione similare di “ammutinamento focalizzato”.
Le azioni di mobbing, ovvero violenza psicologica e sabotaggio delle responsabilità altrui sul posto di lavoro, possono essere così descritte:
- palesi e violente: effettuate attraverso aggressioni verbali e fisiche, urla, commenti inopportuni alla sfera sessuale e privata;
- indirette e silenti: la vittima viene isolata ed esclusa;
- disciplinari: lettere di richiamo ingiustificato;
- competenza e logistica: la vittima viene trasferita in sedi periferiche, scomode e lontane dagli affetti;
- mansionali: si affidano alla vittima compiti al di sotto delle sue reali competenze e capacità;
- parossistici: si affidano compiti superiori alle sue capacità con la speranza che la vittima sbagli.
Che cosa comporta l’esposizione ed il protrarsi nel tempo di tale molestia, sia essa fisica, morale che psicologica?
- alterazioni dell’equilibrio socio-emotivo (ansia, depressione, ossessioni, attacchi di panico, anestesia emozionale);
- alterazioni dell’equilibrio psicofisico (cefalea, vertigini, disturbi gastrointestinali, ipertensione arteriosa, dermatosi, mal di schiena, disturbi del sonno e della sessualità);
- disturbi a livello comportamentale (modificazioni del comportamento alimentare, reazioni autoaggressive ed eteroaggressive, passività).
I soggetti mobbizzati possono, inoltre:
- diventare reattivamente solitari e taciturni;
- perdere interesse verso la propria famiglia e il circolo di amicizie;
- possono ricorrere all’alcool, all’uso di sostanze o ad un uso non pertinente di psicofarmaci.
La Terapia cognitivo comportamentale in questo ambito, si pone come obiettivo la comprensione e desensibilizzazione: mira infatti ad una più funzionale gestione delle emozioni interne da parte della vittima ed alla elaborazione della rabbia e della depressione reattiva concomitante. Veder messo in discussione il proprio ruolo professionale spesso determina la messa in discussione di tanti aspetti di sè con effetti negativi sulla propria autostima. E’ importante in questi casi che la persona venga sostenuta ed aiutata a mobilitare le proprie risorse in maniera finalizzata al raggiungimento di un nuovo equilibrio e benessere.