Le variabili da considerare in caso di rischio suicidario sono sempre moltissime. Il suicidio è da sempre un argomento spinoso da indagare con le persone e anche nella pratica clinica. C’è da sempre una sorta di tabù connaturato anche dai condizionamenti culturali e religiosi, tra cui quello cristiano secondo cui il suicidio è da considerarsi uno tra i peccati più dannosi per la nostra anima.
Aggiungiamo anche la riluttanza nel parlare della morte e di tutte le cose negative che generano emozioni negative. Ciò accade vuoi perché sconveniente, vuoi perché “i panni sporchi si lavano in casa”, vuoi perché nessuno sembra poi davvero interessato a sapere se sto male. Tra l’altro il più delle volte le persone non hanno nemmeno gli strumenti per aiutare o gestire qualcuno che dice di sentirsi male. Ancor di più se la condizione è diventata così intollerabile da pensare di togliersi la vita.
Anche nella pratica clinica il suicidio è uno degli argomenti diffcili da trattare, soprattutto se noi terapeuti siamo all’inizio del nostro percorso formativo. La fatica sta nel chiedere direttamente: “ti capita di pensare al suicidio?”. Temendo una risposta positiva.
Ad ogni modo è una domanda essenziale da fare principalmente in 3 casi:
- A seguito di una grave perdita (es. perdita di una persona cara o fine di una relazione importante);
- In caso di depressione;
- In caso di disturbo di personalità (ovvero persone che hanno un “IO fragile”, un disturbo che riguarda il sé e le relazioni interpersonali).
1. Rischio sucidario a seguito di una grave perdita
Nella relazione di coppia a volte può capitare di stare così bene con l’altra persona tanto da desiderare che la relazione sia eterna e immutabile nel tempo. È facile notare, sin da subito, che queste sono due premesse impossibili e irrealistiche. Quando stiamo in questo stato mentale in cui non accettiamo i possibili cambiamenti che possono giungere nella coppia, perché ci sentiamo completi solo quando stiamo con l’altro, tanto da fonderci, questo può essere molto pericoloso.
Quando per un qualsiasi motivi quella relazione finisce, non riusciamo più a cogliere il senso della nostra vita, senza quella persona. Avevamo investito così tanto nella relazione, ci siamo così tanto identificati nella relazione, che abbiamo perso il senso della nostra identità come singoli individui. È una condizione di “dipendenza affettiva”, alimentata da una grande paura della solitudine, che se non riusciamo a disinnescare può portare, in un momento di estremo dolore, al suicidio. L’aver quindi subìto una grave perdita o seprazione è una variabile da considerare in caso di rischio suicidario.
Che cosa fare?
Intanto ricordare alla persona che ha subìto una perdita che questo dolore se ben canalizzato può essere di grande arricchimento per sé e per gli altri. Nulla è per sempre e anche questa sofferenza nel tempo passerà e si trasformerà.
2. Rischio suicidario in caso di depressione
Un’altra variabile da considerare in caso di rischio suicidario è la presenza di depressione. Tra tutte le condizioni psicologiche e psichiatriche il soffrire di depressione è uno degli indici di maggiore rischio per il suicidio. Sebbene sia più probabile rispetto ad altre condizioni psichiatriche, può essere però anche più prevedibile. I fattori che possono orientarci nel valutare il rischio suicidario sono:
- La presenza di ideazione suicidaria (ovvero il pensare di togliersi la vita)
- La presenza di intenzionalità suicidaria (ovvero intenzione di compiere l’atto)
- La coesistenza di pianificazione suicidaria (ovvero aver fatto un progetto, aver pensato già a come attuare il comportamento suicidario)
- L’assenza di fattori protettivi (es. motivi religiosi o il timore delle conseguenze per sé e per gli altri)
- L’assenza di speranza nello stare meglio o di guarigione
- Utilizzo di sostanze disinibenti o anche iniziale utilizzo di psicofarmaci antidepressivi
- Avere familiarità per la depressione, il disturbo bipolare o la suicidarietà
Chiaramente maggiori sono le variabili presenti e maggiore è il rischio suicidario. In questa tipologia di pazienti il suicidio può verificarsi nel momento in cui ci si percepisce così danneggiati che non si intravede nessuna altra soluzione se non quella di porre fine a così tanta sofferenza, togliendosi la vita. Il rischio permane al perdurare della condizione depressiva, una volta conclusa anche il rischio suicidario si dissolve con essa.
Che cosa fare?
In questi casi può essere utile ricordare al paziente affetto da depressione che in realtà è solo una fase, non sarà sempre così e a breve tornerà a stare meglio.
3. Rischio suicidario in presenza di un disturbo di personalità
Tra le variabili da considerare in caso di rischio suicidario c’è la presenza di un disturbo di personalità conclamato o una personalità poco strutturata, con o senza vissuti depressivi, può rappresentare un rischio suicidario di solito moderato.
In questa tipologia di pazienti lo scopo non è morire, piuttosto accentrare l’attenzione dell’altro, vendicarsi oppure modificare e/o regolare le proprie emozioni. Ne è un esempio chi soffre di disturbo borderline di personalità. Quindi ci possono essere innumerevoli tentati suicidi ma pochissimi tentativi davvero riusciti. Per un approfondimento puoi leggere https://www.centroterapiacognitivak23.com/il-tentato-suicidio-quanto-e-una-ricerca-di-attenzione/
Che cosa fare?
Inanzitutto ricordare al paziente che indurre nel partner un comportamento di vicinanza utilizzando il senso di colpa non ci garantisce la sua presenza o il suo vero pentimento. Nel tempo l’altro si stancherà del modo coercitivo che il paziente ha di attirare l’attenzione o di punirlo e tenderà a distaccarsi. Perciò è proprio la strategia adottata dal paziente ad allontanare l’altro, ottenendo l’effetto indesiderato.
Le situazioni sopra esposte cosituiscono le tre variabili da considerare in caso di rischio suicidario. Per poter affrontare la situazione al meglio, la cosa migliore da fare per se stessi e per gli altri è rivolgersi a un professionista. Evitare possibilmente l’affidarsi esclusivamente a familiari, partner, amici con la sindrome del salvatore (“io ti salverò”) che possono essere un’ottima risorsa se impiegata bene ma diventare in un attimo parte del problema.
Per approfondire gli effetti psicologici generati dalla situazione di quarantena puoi leggere https://www.psicologi-italia.it/psicologo/sara-appoloni/web/articolo-3339.html