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Il tentato suicidio quanto è una ricerca di attenzione?

Il tentato suicidio quanto è una ricerca di attenzione

Innanzitutto occorre vedere da caso a caso, il tentato suicidio a volte può essere il tentativo per ottenere la vicinanza e la ricerca di attenzione da parte dell’altro. Altre volte invece può essere semplicemente l’espressione della propria sofferenza. In entrambe le circostanze occorre però fare molta attenzione, per motivazioni diverse.

Chi tenta il suicidio?

I pazienti che soffrono di depressione non hanno lo scopo di attirare attenzione ma quello di porre fine a tanta sofferenza. La morte diventa, nella loro mente, l’unica scappatoia possibile. In questi casi occorre allarmarsi adottando delle misure di sicurezza (esempio sorveglianza, assistenza, togliere dalla portata del paziente grandi quantità di medicinali oppure oggetti taglienti, ecc).

Poi ci sono un’altra tipologia di pazienti, che spesso sfugge all’osservazione clinica, che si presentano con alcune peculiarità:

  • molto instabili emotivamente e con un umore altalenante,
  • una grande difficoltà a gestire gli impulsi e le proprie emozioni,
  • reazioni spesso esagerate o inappropriate rispetto alle situazioni,
  • pensieri e modi di fare spesso molto discordanti anche se rivolti alla stessa persona.

Sono persone che hanno un “IO fragile”, una personalità poco strutturata, spesso dipendenti dal giudizio dell’altro e con relazioni interpersonali molto difficili. In questo caso abbiamo a che fare con la vasta area dei disturbi di personalità.

Arriviamo quindi a rispondere alla domanda presente nel titolo presentando i comportamenti para-suicidari più tipici che potrebbero mettere in atto e a quale scopo.

Il tentato suicidio e la ricerca di attenzione

Ci possono essere comportamenti dimostrativi in cui lo scopo è influire sullo stato mentale dell’altro, solitamente ottenendo un’attenzione benevola da parte dell’altro. L’aspettativa è che il/la partner accortosi della gravità di questo tentativo inizi a dare maggiore attenzione e cura al/alla paziente. È una dinamica solitamente al femminile in cui il rischio è che, con il passare del tempo, se lo scopo non viene raggiunto si tenderà ad alzare la posta in gioco e a mettersi via via sempre più in pericolo.

Cosa fare?

Innanzitutto far riflettere la paziente che tenere il proprio partner in scacco, obbligandolo a una vicinanza forzata perché altrimenti potrebbe accadere qualcosa di grave, non è una libera scelta. Nel tempo il partner maturerà una rabbia silenziosa che può gravemente minare la relazione e quindi la vicinanza e la sua benevolenza.

Il tentato suicidio come forma di auto-terapia

Ci possono essere comportamenti impulsivi messi in atto con lo scopo di uscire da uno stato mentale sofferente. Nel disturbo borderline questi comportamenti sono molto presenti e spesso prendono la forma di autolesionismo o comportamenti para-suicidari. Lo scopo quindi non è morire ma mettere fine a un forte dolore psichico, quindi di per sé sono tentativi auto-terapeutici che il paziente sta mettendo in atto per stare meglio.

Che cosa fare?

Provare a dare al paziente una visione più integrata di quello stato mentale, il suo inizio e la sua fine, provando a dare forma a quel doloroso groviglio interiore che non gli lascia tregua.

Il tentato suicidio come conseguenza di un distacco dissociativo

Ci possono essere comportamenti suicidari conseguenti a un vissuto di vuoto, di anestesia emotiva e distacco dissociativo. In questo caso il paziente non risponde agli stimoli dell’ambiente, è completamente distaccato dalla realtà, percepisce le cose della realtà come “oggetti fantasmatici”. Quando si trova in questo stato non prova sentimenti o preoccupazione per le conseguenze di ciò che potrebbe accadere, quindi si trovano in grave rischio.

Che cosa fare?

Non facciamo sentire la nostra preoccupazione, perché più ci allarmiamo più tenderanno a distaccarsi di conseguenza. Evitiamo di arrabbiarci con loro perché non è loro la colpa se in quello stato non ci hanno in mente, adottiamo invece dei meccanismi di messa in sicurezza.

Anche se in generale spesso con questa tipologia di pazienti non si arriva al suicidio, se non in quest’ultimo caso, ciò non significa che possiamo stare tranquilli e ignorarli.

Sono persone che vanno accompagnate a capire il nodo della loro sofferenza in modo da mettere in atto strategie più utili e funzionali per ottenere vicinanza, amore e attenzione. Può essere sempre di grande aiuto confrontarsi con un professionista che li possa guidare in questo percorso.

Per un approfondimento sugli effetti psicologici in quarantena puoi leggere https://www.psicologi-italia.it/psicologo/sara-appoloni/web/articolo-3339.html

Sono la Dott.ssa Sara Appoloni, psicologa, psicoterapeuta cognitivo comportamentale e mediatrice familiare. Terapeuta EMDR. Istruttrice di interventi basati sulla mindfulness in formazione ed esperta in mindfulness psicosomatica. Membro del direttivo regionale della Società Italiana Terapia Comportamentale e Cognitiva (2018-2021). Offro colloqui di psicoterapia e sostegno psicologico a bambini, adolescenti, adulti e coppie, sostegno alla genitorialità e mediazione familiare. Disponibile anche per la terapia online.

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