Questo articolo è una riflessione psicologica e un omaggio alla canzone “Sogni Appesi” di Niccolò Moriconi, in arte Ultimo. Da qui il titolo “Vivo coi sogni appesi”, contenuto nel testo della canzone! Premetto che non conosco nulla della sua vita, ma dalle parole è possibile fare delle considerazioni, senza avere la pretesa di avere la verità in tasca.
Mi capita di avere molti adolescenti/ giovani adulti in terapia che si trovano a vivere esperienze simili (di esclusione, ecc) con la percezione di essere soli e diversi e avere tutto il mondo contro; sentirsi gli ultimi (“i miserabili del parchetto”), fare di tutto per non esserlo, odiarsi profondamente per le proprie differenze e desiderare di appartenere alla categoria dei primi.
Poi c’è un’altra categoria di adolescenti che viene in terapia spesso per problematiche ansiose che invece sono ben accolti dai pari, ma vivono con la paura di mostrare i propri difetti per il timore di perdere consensi. La popolarità è sempre stata importante, ma per le generazioni di oggi sembra esserlo ancora di più! In questa trattazione approfondiremo però gli aspetti psicologici della “categoria degli ultimi”.
Ci sono molte esperienze traumatiche che si formano nell’infanzia e nell’adolescenza, anche tra i banchi di scuola e/o in luoghi ricreativi. Basti pensare a quanto è comune essere vittima di bullismo nelle sue varie declinazioni (cyberbullismo ecc). Una buona percentuale di pazienti che vengono oggi in terapia, che siano adolescenti o adulti, hanno accumulato in passato varie esperienze di derisione, denigrazione, umiliazione, violenza verbale, fisica o psicologica. E alle volte il “primo bullo” lo si incontra all’interno delle mura domestiche. È chiaro che in questi casi diventa tutto più difficile.
Quali sono gli effetti psicologici di queste esperienze?
Come descrive Ultimo nel suo testo una delle reazioni più comuni è il ritiro. Il ritiro da tutto ciò che potrebbe essere fonte di ulteriore traumatizzazione; in psicologia lo possiamo definire “evitamento esperienziale”. Quando viviamo nell’evitamento finiamo molto spesso per autoescluderci da molte situazioni. In questo modo facciamo vincere una sorta di passività, che aleggia in tutto ciò che facciamo, vivendo da spettatori della nostra vita. Questa condizione per quanto negativa ha diversi vantaggi secondari, tra questi i più significativi sono:
- Se non mi aspetto nulla dagli altri non verrò deluso. Questo primo punto ha a che fare con le aspettative che in maniera del tutto automatica tendiamo a riporre su gli altri. Pertanto se mi escludo dai giochi, solitamente non coltivo l’aspettativa (o comunque c’è un abbassamento dell’aspettativa) che gli altri possano coinvolgermi. In questo modo mi proteggo dalla delusione di non essere scelto.
- Se mi ritiro, cerco di passare inosservato, sarò meno oggetto di ulteriore denigrazione. Questo punto riguarda il tutelarsi dall’accumulare altre esperienze traumatizzanti; quindi se utilizzo un profilo basso mi proteggo dal collezionare esperienze negative
- Se non mi espongo mi proteggo da un futuro fallimento. Quest’ultimo punto tocca il tema del proprio valore personale. Perciò se rimango inattivo con i miei “sogni appesi” senza cercare di realizzarli posso fantasticare sul loro successo ed essere frustrato per non averci neanche provato. Al contempo però, questa inattività mi sta proteggendo da un eventuale fallimento. Per dirla in altri termini, la parte della nostra mente che vuole proteggerci da un futuro fallimento preferisce farci evitare tutte le situazioni in cui dobbiamo mettere alla prova le nostre abilità. Questo perché è preferibile rimanere inermi ed avere il dubbio che potevamo farcela o meno, piuttosto che agire nella direzione dei nostri sogni e fallire.
Fallimento come minaccia al valore personale
Quest’ultima possibilità, contenuta nel punto 3, è molto più pericolosa per la nostra mente. In quanto è come se fosse la conferma definitiva della nostra inettitudine. In quest’ultima evenienza il nostro valore personale, se già prima era basso, finisce per rasentare lo zero. Questa condizione tra l’altro è molto pericolosa, perché è proprio quando non ci riconosciamo nessun valore personale, che ci sentiamo completamente inutili e possiamo commettere anche delle azioni che possono mettere a repentaglio la nostra vita. Vediamo che i pensieri che stanno alla base di questi punti, sebbene tutti con uno scopo protettivo per il sè, non fanno altro che chiuderci in un circolo vizioso senza fine: più mi ritiro e maggiori saranno la passività e l’impotenza di fronte alle cose della vita. Di conseguenza, più avrò paura e ansia di espormi alle esperienze; aumentano la tristezza e la rabbia verso me stesso e il mondo; maggiore sarà il ritiro. D’altronde il rapporto più complicato è spesso quello che abbiamo con noi stessi.
Come uscire da questo circolo vizioso?
Innanzitutto dobbiamo cercare di uscire da questa passività, cercando di metterci all’opera per ciò in cui crediamo; iniziando dalle piccole cose che ci riescono bene. Gradualmente dobbiamo sfidare la convinzione che se mi espongo accadrà qualcosa di terribile. Questo ci permetterà di sentirci più forti e agenti della nostra vita. L’altro quesito importante, come racconta Ultimo nel suo testo, è quello di scendere a patti con la parte di noi che non ci piace (piuttosto che inveirle contro provare a “riderci insieme”). Piuttosto che voler assomigliare a qualcosa o qualcuno che non siamo noi pur di essere nella “categoria dei primi”; provare a fare delle nostre differenze il nostro punto di forza. Questa è stata la scelta di questo cantautore che decise di chiamarsi “Ultimo”!
Questo passaggio non è sempre facile farlo da sé, alle volte può essere consigliare fare un percorso di psicoterapia che ci possa accompagnare in un questo processo di riscoperta del nostro valore.
Se siete curiosi vi invito ad ascoltare il link di questa canzone “Sogni Appesi”, tratto da uno dei concerti di Ultimo dove vien trasmesso, in modo anche commuovente, il messaggio di non smettere mai di credere nei propri sogni.